201605.20
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UNIONI CIVILI E COPPIE DI FATTTO DOPO L’APPROVAZIONE DELLA LEGGE CIRINNÀ

Il 12 maggio scorso la Camera dei Deputati ha approvato il Disegno di Legge sulle unioni civili tra persone dello stesso sesso (D.D.L. Cirinnà commi 1-34) e i contratti di convivenza (D.D.L. Cirinnà commi 36-65).

La nuova Legge, che porta il nome della sua relatrice, la senatrice M. Cirinnà, e che è composta da un unico articolo, con 69 commi, rappresenta indubbiamente un passo in avanti perché ha contribuito a colmare finalmente il ritardo dell’Italia rispetto al resto dei paesi europei.

Ecco le principali caratteristiche dei due nuovi istituti introdotti dalla Legge Cirinnà nell’ordinamento italiano.

L’ unione civile tra persone dello stesso sesso, per non confonderla con l’istituto del matrimonio, è definita al primo comma dell’articolo 1 della Legge Cirinnà quale “specifica formazione sociale” ai sensi degli articoli 2 e 3 della Costituzione. Ciò, nonostante in capo ai due componenti dell’unione (o uniti civilmente), con la stessa, sorgano diritti e doveri del tutto simili a quelli che sorgono in capo ai coniugi con il matrimonio, salvo la possibilità di adottare figli.

Ebbene, la formazione sociale costituita da due persone maggiorenni dello stesso sesso unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale si costituisce avanti all’Ufficiale di Stato Civile ed alla presenza di due testimoni. L’Ufficiale di stato provvede anche alla registrazione degli atti nell’archivio dello stato civile.

In base alla Legge Cirinnà, a pena di nullità dell’unione, non può unirsi civilmente: chi è ancora sposato o unito civilmente ad altra persona dello stesso sesso, chi è stato interdetto, chi ha legami di parentela ai sensi dell’art. 87, 1°co. c.c., lo zio e il nipote o la zia e la nipote, chi ha subito condanna definitiva per omicidio consumato o tentato di chi era in precedenza coniugato o unito civilmente con l’altra parte dell’unione.

Nei predetti casi, ciascuna delle parti può impugnare l’unione per farne valere la nullità.

L’unione civile, così come il matrimonio, può essere impugnata dalla parte il cui consenso è stato estorto con violenza o determinato da un timore di eccezionale gravità, dalla parte che ha prestato il proprio consenso per effetto di errore sull’identità della persona o di errore essenziale sulle qualità dell’altra parte (si pensi, ad esempio, all’impugnazione in ragione dell’esistenza di una grave malattia fisica o psichica dell’altra parte non conosciuta).

L’unione civile tra persone dello stesso sesso è certificata dal relativo documento attestante la costituzione dell’unione, che deve contenere i dati anagrafici delle parti, l’indicazione della loro residenza e del loro regime patrimoniale.

Come le coppie sposate, le parti dell’unione civile “concordano tra loro l’indirizzo della vita familiare e fissano la residenza comune. A ciascuna parte spetta il potere di attuare l’indirizzo concordato” (co. 12, art. 1).

Inoltre, con la costituzione dell’unione civile, si legge al comma 11, le parti acquistano i medesimi diritti e assumono i medesimi doveri.

Pertanto, dall’unione civile, così come dal matrimonio, deriva l’obbligo reciproco all’assistenza morale e materiale e alla coabitazione, nonché l’obbligo per entrambe le parti a contribuire ai bisogni comuni, ciascuna in proporzione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo.

Non vi è nel testo definitivo del D.D.L. Cirinnà, l’obbligo di fedeltà previsto, invece, nel matrimonio.

Per quanto riguarda il regime patrimoniale dell’unione civile tra persone del medesimo sesso, in mancanza di diversa convenzione, secondo il testo di Legge, è costituito dalla comunione dei beni. Il che significa che, così come i coniugi, anche i partner che si uniscono civilmente possono optare per il diverso regime di separazione dei beni, dichiarandolo nell’atto di unione civile. Infatti il comma 13, art. 1 richiama le disposizioni del Codice Civile, dettate in tema di forma delle convenzioni matrimoniali, modifica e simulazione delle stesse.

In ogni caso, le parti non possono derogare ai diritti e ai doveri previsti dalla Legge per effetto dell’unione. Si applicano all’unione civile le disposizioni dettate dal Codice Civile sul fondo patrimoniale, sulla comunione legale e sulla comunione convenzionale, nonché sulla separazione dei beni e sull’impresa familiare.

Venendo, invece, all’importante tema dei diritti che le parti acquistano in ragione dell’unione civile, si rileva che i due partner hanno la possibilità di assumere, per la durata dell’unione, un cognome comune scegliendolo tra i loro cognomi. In particolare, la parte con diverso cognome potrà anteporre o posporre al cognome comune il proprio, facendone dichiarazione avanti all’Ufficiale di Stato Civile.

Inoltre, spettano a ciascun membro dell’unione, in caso di morte del prestatore di lavoro, la pensione di reversibilità ed il Tfr maturato dal partner.

A ciò si aggiunge che la Legge Cirinnà (co. 14, art. 1) ha riconosciuto, a tutela della parte debole che subisce grave pregiudizio fisico o psichico dalla condotta dell’altra parte, la possibilità di chiedere al Giudice di adottare con decreto gli ordini di protezione familiare di cui all’art. 342 ter c.c.

Ancora, nella scelta dell’Amministratore di Sostegno il Giudice Tutelare dovrà preferire, ove possibile, la parte dell’unione civile, la quale, per espressa previsione normativa, può anche promuovere l’istanza di interdizione o inabilitazione del partner unito civilmente.

Venendo ai diritti successori, è significativo il fatto che il Legislatore ha riconosciuto in capo all’unito civilmente il diritto alla legittima, richiamando l’intero Titolo II del Libro II del Codice Civile, che contiene la disciplina “Delle successioni legittime”.

Pertanto, in mancanza di testamento, anche il partner superstite dell’unione civile sarà da considerare tra i soggetti successibili cui devolvere l’eredità, avendo diritto alla metà o ad un terzo della stessa a seconda che alla successione concorra un solo figlio o più figli (nati da un precedente rapporto) del de cuius. Mentre, in mancanza di figli, il partner superstite ha diritto ai due terzi dell’eredità in concorso (eventuale) con ascendenti o con fratelli e sorelle del defunto (artt. 581 e 582 c.c.).

Invece, per l’eventualità che il/la compagno/a unito/a civilmente abbia fatto testamento, al partner superstite è riservata comunque una quota di eredità (legittima) pari alla metà del patrimonio, salvo il caso di concorso con i figli.

All’unito civilmente, rimasto superstite, la nuova Legge ha riservato anche i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano (ex art. 540, 2°co.), se di proprietà del defunto o comuni.

Alle unioni civili si applicano anche le disposizioni del Codice Civile in tema di obbligo agli alimenti, matrimonio dello straniero in Italia (art. 116, 1°co. c.c.), allontanamento dalla residenza familiare (art. 146 c.c.) e trascrizione (artt. 2647, 2653 1°co. n. 4 e 2659 c.c.).

In ultimo, per quanto riguarda le unioni civili, il Legislatore si è preoccupato di disciplinarne lo scioglimento.

In tal senso, il testo del D.D.L. Cirinnà richiama espressamente la Legge sul divorzio del 1 dicembre 1970, n. 898, limitatamente ad alcuni articoli in quanto compatibili.

Pertanto, nello specifico, in base alla Legge, oltre alla morte o alla dichiarazione di morte presunta di una delle parti, determinano lo scioglimento dell’unione civile tra persone dello stesso sesso la condanna dell’altra parte, dopo la celebrazione dell’unione, con sentenza passata in giudicato, all’ergastolo o ad una pena superiore ad anni quindici o a qualsiasi pena detentiva per i delitti indicati alle lett. b) c) e d) del n. 1, art. 3 della L. 898/1970, nei casi di cui alle lett. a) c) d) ed e) del n. 2, sempre dell’art. 3 L. 898/1970.

È significativo il fatto che la Legge Cirinnà non contenga un richiamo espresso alla lett. b) n. 2 dell’art. 3 della Legge sul Divorzio che prevede che, in tutti i predetti casi di divorzio, per la proposizione della domanda di scioglimento del matrimonio, la separazione deve essersi necessariamente protratta per un anno, se giudiziale, o per sei mesi, se consensuale, a far tempo dalla data di comparizione dei coniugi avanti al Giudice. Ne consegue che la coppia unitasi civilmente, nei predetti casi di divorzio, potrà bypassare la separazione.

Infatti, la Legge Cirinnà ha previsto la procedura di “scioglimento diretto”, in base al quale l’unione civile si scioglie quando le parti hanno manifestato anche disgiuntamente la volontà di scioglimento dinanzi all’ufficiale dello stato civile. In tale caso, la domanda di scioglimento dell’unione civile è proposta decorsi tre mesi dalla data della manifestazione di volontà di scioglimento avanti al Tribunale del luogo di ultima residenza comune della coppia e si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 4, 5, primo comma e dal quinto all’undicesimo comma, 8, 9, 9 bis, 10, 12 bis, 12 ter, 12 quater, 12 quinquies e 12 sexies della Legge n. 898/1970, che regolano il procedimento di divorzio.

Sempre per lo scioglimento dell’unione civile, è possibile ricorrere alle procedure acceleratorie introdotte dal D.L. 132/2014, convertito con modificazioni dalla Legge n. 162/2014, di negoziazione assistita da uno o più avvocati per parte e avanti all’ufficiale di stato civile.

In ultimo, determina lo scioglimento dell’unione civile tra persone dello stesso la sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso.

Sul punto si rileva che la Legge in commento ha recepito l’orientamento che la Corte Costituzionale aveva espresso con la sentenza dell’11 giugno 2014, n. 170, secondo il quale: alla rettificazione anagrafica di sesso, ove i coniugi abbiano manifestato la volontà di non sciogliere il matrimonio o di non cessarne gli effetti civili, consegue l’automatica instaurazione dell’unione civile tra persone dello stesso sesso.

Venendo al secondo istituto introdotto dal D.D.L. Cirinnà, la disciplina delle convivenze di fatto è contenuta nei commi dal 37 al 67, dell’art. 1.

Particolare attenzione va riservata ai contratti di convivenza.

Secondo il testo normativo (art. 1 comma 36) sono “conviventi di fatto” due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile.

La legge non fa distinzione tra coppie dello stesso sesso o di diverso sesso. Pertanto, è innegabile che l’istituto introdotto riguardi tanto le coppie omosessuali, quanto quelle eterosessuali.

Elemento costitutivo della convivenza di fatto è la “stabile convivenza”, che si accerta mediante la verifica anagrafica.

Ai conviventi di fatto, sono estesi alcuni diritti che spettano oggi ai coniugi.  In particolare, tra quelli di maggior rilievo, si segnalano: il diritto di visita in ambito sanitario; i diritti previsti dall’ordinamento penitenziario; la facoltà di nominare il partner come rappresentante; i diritti inerenti la casa di abitazione e il diritto al risarcimento del danno da fatto illecito del terzo, ecc. …

Come sopra anticipato, nella Legge Cirinnà è previsto anche che i conviventi di fatto possano disciplinare i rapporti patrimoniali relativi alla loro vita in comune con la sottoscrizione di un contratto di convivenza.

Tale contratto non ha efficacia costitutiva della convivenza di fatto, essendo una facoltà dei conviventi.

Il contratto, a pena di nullità, deve essere redatto in forma scritta, con atto pubblico o con scrittura autenticata da un notaio o da un avvocato, che ne attesta la conformità alle norme imperative e all’ordine pubblico.

Ai fini dell’opponibilità ai terzi, il professionista che ha ricevuto l’atto deve anche provvedere, entro i successivi dieci giorni, a trasmetterne copia al comune di residenza dei conviventi per l’iscrizione all’anagrafe.

Il contratto di convivenza non può essere sottoposto a termine o condizione. 

Per quanto riguarda il contenuto, deve necessariamente recare l’indicazione dell’indirizzo di ciascuna parte al quale effettuare le comunicazioni inerenti allo stesso. Inoltre, potrà riportare l’indicazione: della residenza, delle modalità di contribuzione alle necessità della vita in comune in relazione alle sostanze di ciascuno e alla capacità di lavoro professionale o casalingo e della scelta (eventuale) del regime patrimoniale della comunione dei beni.

Concludendo, all’esito dell’approvazione della Legge Cirinnà, nel nostro ordinamento risultano tre diverse forme familiari:

-il matrimonio, per la coppia eterosessuale;

-l’unione civile, per la coppia omosessuale;

-la convivenza di fatto, per la coppia eterosessuale ed omosessuale.

Si segnala, però, che contrariamente al coniugato e all’unito civilmente, quello di convivente non è uno status familiae.

Avv. Francesca Baldelli