201502.23
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SUCCESSIONE: L’ANNULLAMENTO DEL TESTAMENTO PER INCAPACITA’ NATURALE DEL DE CUIUS Cassazione Civile, Sez. II, sentenza del 23 dicembre 2014, n. 27351

Con un recente pronunciamento, la Cassazione ha confermato e precisato i principi da applicarsi per l’ipotesi di incapacità di testare prevista dall’art. 591, 2°co. n. 3 c.c.

La norma in questione dispone che sono incapaci di disporre per testamento coloro i quali, “sebbene non interdetti, si provi essere stati per qualsiasi causa, anche transitoria, incapaci di intendere e volere nel momento in cui fecero testamento”.

Nel caso sotteso al pronunciamento in questione, la de cuius aveva redatto un primo testamento olografo, datato 3 marzo 1987, con il quale aveva istituito suoi eredi universali i nipoti, per poi revocarlo in tutte le sue disposizioni con un successivo atto testamentario, sempre olografo, del 27 luglio 1995, con conseguente apertura della successione legittima.

Gli eredi istituiti con il primo testamento convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Palermo gli eredi legittimi, assumendo che il secondo testamento, quello del 25 luglio 1995, che aveva revocato il primo, era in realtà da considerarsi nullo per l’esistenza di un vizio della volontà determinato da incapacità naturale, in quanto era stato redatto in uno stato psico-fisico tale da annullare nella testatrice l’attitudine ad autodeterminarsi liberamente e coscientemente. Chiedevano, quindi, che ne fosse dichiarata l’invalidità, e che fosse dichiarata l’incapacità a succedere degli eredi legittimi, con l’evidente conseguenza che restava valido, in quanto non validamente revocato, il primo testamento della de cuius a loro favore.

Nel giudizio di primo grado si costituiva solamente uno degli eredi legittimi (il fratello), contestando il fondamento della domanda attrice, di cui chiedeva il rigetto, e chiedendo in via riconvenzionale l’annullamento del primo testamento, per un’asserita incapacità di intendere e volere della testatrice, esistente già al momento della redazione del primo testamento, del 3 marzo 1987, con la conseguente apertura della successione a favore degli eredi legittimi.

In primo grado il Tribunale adito, in accoglimento della domanda degli eredi testamentari, ha dichiarato la nullità della seconda scheda testamentaria per incapacità di intendere e volere della testatrice ed ha disposto l’apertura della successione come regolata dal primo testamento olografo.

Di seguito, la suddetta sentenza è stata impugnata dall'erede legittimo, soccombente in primo grado, dinanzi alla Corte di Appello di Palermo, che ha ritenuto corretto il quadro probatorio apprezzato dal Tribunale in primo grado.

Nello specifico, era emerso che la de cuius era stata colpita, fin dagli anni sessanta, da una malattia mentale, da ricondurre ad una schizzofrenia paranoide, che si era concretamente sviluppata secondo un percorso di progressivo aggravamento, con alternanza di fasi acute e periodi più o meno lunghi di remissione, fino a pervenire negli anni novanta, ad uno stadio del tutto invalidante. Secondo il quadro clinico delineato dalla CTU medica, nel 1994, in costanza del penultimo ricovero, la malattia era degenerata fino a compromettere la capacità della donna di autodeterminarsi, mentre dal 1982 all’aprile 1987 (compresa, dunque, la data del 3 marzo 1987, di redazione della prima scheda testamentaria) la donna aveva vissuto un lungo periodo di remissione della malattia.

Secondo la Corte di Appello, al di là dell’esattezza del quadro clinico delineato dalla CTU, dagli atti del processo e dalla prova testimoniale, era emerso il fatto decisivo che quella della de cuius fosse una malattia non del tutto invalidante, tale cioè da precludere alla paziente la capacità di autodeterminarsi in modo permanente.

Del resto, considerava la Corte territoriale, anche l’esame del testamento conduceva alla medesima conclusione, posto che dalla lettura del medesimo emergeva chiaramente che la testatrice avesse voluto favorire alcuni congiunti e sfavorirne altri (cioè il fratello, con il quale aveva da tempo dei contrasti), secondo una scala di affetti elaborata nel tempo e non priva di senso.

Infine, posto che la de cuius non si trovava in stato di interdizione, che l’appellante non aveva provato che quella versasse in uno stato permanente di incapacità e che competeva alla medesima parte appellante, che invece non aveva assunto tale onere, dimostrare che la sorella, nel momento della redazione del primo testamento, fosse in stato di incapacità, la Corte d’Appello concludeva per la conferma della sentenza di primo grado.

Verso la sentenza della Corte di Appello ha proposto ricorso in Cassazione il fratello della de cuius, asserito erede legittimo, già soccombente in primo ed in secondo grado.

Con la sentenza del 23 dicembre 2014, n. 27351, la Sezione II della Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso e, confermando la sentenza della Corte di Appello di Palermo, ha enunciato i principi che devono essere applicati per stabilire il grado di incapacità naturale che priva il soggetto della testamenti factio activa e per l’imputazione dell’onere della prova.

In particolare, riguardo all’incapacità naturale che priva il testatore della possibilità di disporre validamente ai sensi dell’art. 591, 2°co., n. 3 c.c. ha confermato precedenti pronunciamenti (ex multis: Cass. 18 aprile 2005 n. 8079), asserendo che la stessa “postula l’esistenza non già di una semplice anomalia o alterazione delle facoltà psichiche ed intellettive del de cuius, bensì la prova che, a cagione di un’infermità transitoria o permanente, ovvero di altra causa perturbatrice, il soggetto sia stato privo in modo assoluto, al momento della redazione dell’atto di ultima volontà, della coscienza dei propri atti ovvero della capacità di autodeterminarsi”.

È, quindi, evidente che per invalidare un testamento non basti una mera alterazione psichica o un semplice decadimento cognitivo, bensì occorre una assoluta incapacità del testatore d’intendere e volere il significato economico-giuridico dell’atto testamentario redatto.

Per quanto riguarda l’imputazione dell’onere della prova, in conformità all’orientamento consolidato della Cassazione, la Seconda Sezione, sul presupposto che lo stato di capacità costituisce la regola e quello d’incapacità l’eccezione, ha ritenuto che “costituisce onere, posto a carico di chi quello stato di incapacità assume, provare che il testamento fu redatto in un momento di incapacità di intendere e di volere del testatore, mentre soltanto quando risulti lo stato di incapacità permanente di quest’ultimo incombe a colui che faccia valere il testamento dimostrare che la redazione è avvenuta in un intervallo di lucidità” (conformi: Cass. Civ. 15 aprile 2010, n. 9081; Cass. Civ. 6 maggio 2005, n. 9508).

In conclusione, nel caso di specie, la Suprema Corte, ritenuto che la Corte d’Appello di Palermo, una volta escluso che la testatrice versasse in un stato permanente di incapacità, avesse correttamente posto a carico dell’erede appellante l’onere di provare che la de cuius versasse in stato d’incapacità al momento della redazione del testamento, ha rigetto il ricorso.

Dott.ssa Francesca Baldelli