201602.10
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SEPARAZIONE: IL REGIME DI ESENZIONE PREVISTO DALL’ART. 19 L. 74/1987 VALE ANCHE PER IL TRASFERIMENTO IMMOBILIARE DISPOSTO IN ATTUAZIONE DEGLI ACCORDI DI SEPARAZIONE CONSENSUALE TRA I CONIUGI Cassazione Sezione Tributaria Civile, sentenza n. 2111/2016

Il coniuge che, in attuazione degli accordi di separazione consensuale, trasferisce all’altro coniuge la proprietà di un immobile ha diritto all’esenzione dal pagamento dell’imposta di registro e delle ulteriori imposte ipotecaria e catastale.

Lo ha stabilito di recente la Sezione Tributaria della Cassazione Civile con la sentenza n. 2111 del 14 gennaio 2016, depositata lo scorso 3 febbraio, mutando il suo precedente orientamento.

Nel caso di specie la moglie, in attuazione degli obblighi conseguenti agli accordi di separazione consensuale, trasferiva al marito la sua quota pari ad 1/2 della proprietà di un terreno privo di fabbricati che i coniugi avevano acquistato, vigendo già tra questi il regime della separazione dei beni, nell’anno 2000 e, quindi, in comunione ordinaria.

L’Agenzia delle Entrate – Ufficio di Forlì, dopo aver registrato l’atto di trasferimento, notificava alla moglie l’avviso di liquidazione per il recupero dell’imposta di registro e delle ulteriori imposte ipotecaria e catastale, ritenendo non applicabile al caso in questione il trattamento “agevolato” di cui all’art. 19 L. n. 74/1987, essendo questo usufruibile, secondo l’opinione dell’ufficio, solo per quegli atti posti in essere dai coniugi in attuazione degli obblighi connessi all’affidamento dei figli, al loro mantenimento ed a quello del coniuge, oltre che al godimento della casa famigliare.

La donna impugnava l’avviso di liquidazione avanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Forlì, la quale accoglieva il ricorso.

L’Ufficio, quindi, proponeva appello alla Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna, che rigettava il gravame con sentenza. Contro quest’ultima, l’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate decideva di proporre ricorso in Cassazione, censurando la sentenza impugnata per “falsa applicazione dell’art. 19 L. n. 74/1987”.

Come è noto, tale norma stabilisce che tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili del matrimonio sono esenti dall’imposta di bollo, dall’imposta di registro e da ogni altra tassa.

Nell’esenzione dal tributo sono comprese anche le iscrizioni di ipoteca effettuate a garanzia delle obbligazioni assunte dal coniuge nel giudizio di separazione (in virtù di sentenza n. 176 del 1992 della Corte Costituzionale, che ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 19 L. 74/1987 nella parte in cui non comprendeva nell’esenzione dal tributo anche le suddette iscrizioni).

L’esenzione è stata estesa anche a tutti gli atti, i documenti e i provvedimenti relativi al procedimento di separazione personale dei coniugi, a seguito di sentenza n. 154 del 10 maggio 1999 della Corte Costituzionale, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo de quo nella parte in cui non estende anche a quelli l’esenzione.

Si tratta di una sentenza addittiva pura, che ha osservato come il profilo tributario non potesse ragionevolmente riflettere un momento di diversificazione tra il giudizio di divorzio e la procedura di separazione, atteso che l’esigenza di agevolare l’accesso alla tutela giurisdizionale che motiva e giustifica il beneficio fiscale per gli atti del divorzio, è in realtà presente anche nel giudizio di separazione.

Secondo l’opinione dell’amministrazione ricorrente, l’erroneità in diritto della decisione della CTR, che ha ritenuto applicabile alla fattispecie in questione il regime di esenzione previsto dall’art. 19 L. 74/1987, risiederebbe nell’aver qualificato il trasferimento immobiliare effettuato dalla moglie a favore del marito, quale atto in attuazione degli accordi di separazione consensuale. Ciò, senza considerare quanto era emerso pacificamente in fatto e, cioè, che l’acquisto della metà del terreno da parte dell’uomo dalla moglie non era stata una conseguenza dello scioglimento della comunione legale tra i coniugi, stante che tra questi vigeva il regime di separazione dei beni e, quindi, il terreno era stato acquistato da ciascuno per metà (comunione ordinaria) nell’anno 2000.

Sicché, per l’Agenzia ricorrente, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice tributario, si trattava di “atto solo occasionalmente generato dalla separazione personale dei coniugi” e, quindi, non poteva trovare applicazione il regime di esenzione.

In tal senso, in un caso analogo, si era già espressa la Suprema Corte di Cassazione Civ., Sez. V, con sentenza del 3 dicembre 2001, n. 15231.

Orbene, la stessa Suprema Corte, Sezione Tributaria Civile, con la sentenza in commento, ha disatteso il ricorso, mutando d’indirizzo rispetto al suo precedente orientamento.

Ciò, in virtù di una rivalutazione critica di alcune argomentazioni già espresse dalla Corte nei suoi precedenti, ma soprattutto in ragione del mutato quadro normativo di riferimento.

Come è noto, la citata sentenza n. 15231/2001, aveva recepito l’orientamento dottrinale che distingueva tra contenuto necessario ed eventuale degli accordi di separazione, dovendosi ricomprendere, nel primo, il consenso reciproco a vivere separati, l’affidamento di figli, l’assegnazione della casa famigliare in funzione del preminente interesse della prole e la previsione dell’assegno di mantenimento a carico di un coniuge in favore dell’altro, ove ne sussistono i presupposti; nel secondo, quei patti che trovano “solo occasione nella separazione”, costituiti da accordi patrimoniali del tutto autonomi che i coniugi concludono in previsione di un regime di vita separata.

La suddetta distinzione era volta a distinguere tra i patti che contengono il necessario della separazione soggetti alla procedura di modifica o revoca di cui all’art. 156, ult. co., c.c. e quelli che, al contrario, trovano solo “occasione” nella separazione, la cui efficacia tra le parti trova il proprio riferimento normativo nell’art. 1372 c.c. (conformi: Cass. Civ n. 7493/2002. n. 16909/2015; n. 24321/2007).

In particolare, nel caso sotteso alla pronuncia n. 15231 del 2001 citata dalla Agenzia delle Entrate in ricorso (che si riferiva al recupero a tassazione di atto dispositivo del trasferimento da un coniuge all’altro di quota del 20% della nuda proprietà di un bene acquistato in precedenza dai coniugi in regime di separazione), nell’escludere l’applicabilità dell’esenzione di cui all’art. 19 L. 74/1987, la Cassazione aveva osservato che l’accordo era solo occasionalmente generato dalla separazione e che i coniugi avrebbero potuto legittimamente mantenere il regime di comunione ordinario pur se separati, in tal senso deponendo l’art. 8 della tariffa allegata al D.P.R.131/1986, che parla di “attribuzione di beni già facenti parte di comunione tra i coniugi”, richiamando quindi “solo” la comunione legale di cui agli artt. 159 e ss.; “se così non fosse”, aveva, inoltre, precisato: “è intuitivo che atti di diversa natura si presterebbero ad intenti elusivi”.

Ebbene, tali affermazioni, ove riferite al caso analogo all’esame del Collegio (trasferimento di quota del 50% dalla moglie al marito), “non sembrano” più idonee a giustificare l’esclusione dall’applicazione dell’esenzione prevista dall’art. 19 L. 74/1987 (ovviamente nel testo conseguente alla declaratoria di illegittimità costituzionale operata da Corte Costituzionale, 10 maggio 1999, n. 154 che ha consentito l’estensione dell’esenzione anche a tutti gli atti, i documenti e i provvedimenti relativi al procedimento di separazione, di cui si è detto sopra).

Ad avviso del Collegio, infatti, la precedente opinione di dottrina e giurisprudenza di “non ritenere sovrapponibili” le espressioni di “atti stipulati in occasione della separazione e del divorzio” e quella di “atti relativi al procedimento di separazione o di divorzio”, conseguente alla portata addittiva della sentenza della  Corte Costituzione n. 154/1999 al testo dell’art. 19, L. 74/1987, poggia su argomenti che non possono più ritenersi decisivi (come quello riferito alla possibile finalità elusiva di accordi estranei al contenuto essenziale della separazione).

Ma ciò che appare tuttavia di maggior rilievo al Collegio giudicante, nel senso di addivenire al superamento del precedente indirizzo, è il mutamento del contesto normativo di riferimento.

Basti pensare alle tappe percorse dal legislatore in materia di separazione e divorzio culminate negli artt. 6 e 12 del D.L. 132/2014, convertito con L. n. 162/2014, che hanno rispettivamente previsto il procedimento di negoziazione assistita da avvocati per la separazione consensuale, il divorzio e la modifica delle condizioni di separazione e divorzio, e la conclusione innanzi al Sindaco, quale Ufficiale di Stato Civile, di accordi di separazione personale, di divorzio e di modifica delle condizioni di separazione e divorzio, che tengano luogo dei provvedimenti giudiziali; o al divorzio breve di cui alla L. n. 55/2015, che ha drasticamente accorciato il tempo d’ininterrotta separazione consensuale per poter richiedere il divorzio.

Le nuove disposizioni, ad avviso del Supremo Collegio, riducendo drasticamente l’intervento dell’organo giurisdizionale, di fatto hanno attribuito al consenso tra i coniugi un valore “più pregnante”.

Tutto quanto sopra ha indotto la Corte a ritenere, nei limiti della decisione del caso in oggetto, che nel mutato contesto normativo, “debba riconoscersi il carattere di negoziazione globale a tutti gli accordi di separazione che, anche attraverso la previsione di trasferimenti mobiliari e immobiliari, siano volti a definire in modo tendenzialmente stabile la crisi coniugale, destinata a sfociare, di lì a breve, nella cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario o nello scioglimento del matrimonio civile, cioè in un divorzio non solo prefigurato, ma voluto dalle parti, in presenza delle necessarie condizioni di legge”.

In tale contesto, infatti, prosegue il Collegio “non sembra potersi più ragionevolmente negare, che detti negozi siano da intendersi quali “atti relativi al procedimento di separazione e divorzio”, che, come tali, possono usufruire dell’esenzione di cui all’art. 19 della L. 74/1987 nel testo conseguente alla pronuncia n. 154/1999 della Corte Costituzionale”.

Ciò, naturalmente,salvo che l’Amministrazione contesti e provi, secondo l’onere probatorio a suo carico, la finalità elusiva degli atti medesimi.

Avv. Francesca Baldelli