201502.06
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QUANDO LA MOGLIE SCOPRE I TRADIMENTI DEL MARITO SU FACEBOOK, SE LUI LA PRIVA DI RISORSE ECONOMICHE, LA MALTRATTA E LE CHIEDE RAPPORTI SESSUALI PARTICOLARI, È LEGITTIMA LA MISURA DELL’ALLONTANAMENTO DALLA CASA CONIUGALE Cassazione Penale, Sez. III, sentenza del 28 ottobre 2014 – 14 gennaio 2015, n. 1339

Di recente, la Suprema Corte di Cassazione si è occupata del caso di un marito che, accusato di maltrattamenti ed abuso sessuale nei confronti della propria moglie, sottoposto alla misura dell’allontanamento dalla casa familiare, è ricorso al Supremo Collegio invocando l’annullamento dell’ordinanza del Tribunale del Riesame che aveva respinto la richiesta di revoca o sostituzione della misura.

La vicenda ha tratto origine dalla scoperta da parte della moglie, leggendo commenti su facebook, dei ripetuti tradimenti del marito, che, si legge nella sentenza, “usava intrattenersi” con varie donne.

A seguito della contestazione della cosa da parte della moglie al marito, il clima di vita familiare è cambiato. L’uomo, non solo ha lasciato la moglie priva di risorse economiche, ma ha anche assunto atteggiamenti violenti e non si è fatto scrupolo di offenderla e minacciarla anche in presenza dei figli minori. Infine, ha preteso rapporti sessuali “particolari”, cui la moglie non ha voluto consentire.

La moglie ha deciso quindi di denunciare il marito. Lui, accusato di avere sottoposto a maltrattamenti la propria moglie e di avere abusato sessualmente di lei, è stato sottoposto alla misura dell’allontanamento dalla casa familiare. Però non si è rassegnato e, dopo aver visto respinta, da parte del Tribunale per il Riesame, la sua richiesta di revoca della misura, ha deciso di ricorrere alla Suprema Corte lamentando la carenza del bagaglio indiziario “visto che si fonda solo sulle parole della persona offesa, sfornite di qualsivoglia riscontro”, senza considerare che tra i coniugi, a dire del marito, vi era già una conflittualità accesa, tanto da dover soppesare con cautela le parole della moglie. Inoltre, ha lamentato ancora il ricorrente, il provvedimento del Tribunale per il Riesame sembrava rivolto a fronteggiare più un sentimento comune di allarme che una concreta esigenza cautelare. Ha evidenziato una certa genericità della misura, che, sfornita di prescrizioni specifiche, non sottraeva il sottoposto al rischio di incontri occasionali con la vittima. Il ricorrente, quindi, ha concluso invocando l’annullamento della misura.

I giudici della Corte di Cassazione, con sentenza n. 1339 del 14 gennaio 2015 hanno dichiarato il ricorso inammissibile, considerando l’ordinanza, sul punto, “chiara, dettagliata e puntuale”, alla luce delle parole della persona offesa (e delle sorelle di lei), la cui credibilità, per la Corte, è desumibile dalla precisione delle indicazioni fornite e dalla logica e coerenza delle indicazioni delle circostanze riportate.

Di fronte all’emergere di un quadro di condotte offensive, di infedeltà e di sopraffazione, tali da giustificare le accuse mosse dalla moglie, la terza sezione penale della Corte di Cassazione, avvallando le conclusioni del giudice di merito, ha ribadito anche il proprio costante orientamento, secondo cui, specie per i reati che maturano in un contesto familiare, è ben possibile basare le accuse sulle parole della sola persona, spesso unica testimone, sempre che le dichiarazioni accusatorie siano state vagliate con cura.

Ciò, secondo la Corte, è sicuramente avvenuto nel caso di specie non avendo offerto neppure il ricorrente argomenti specifici a conforto delle proprie insinuazioni e dubbi in grado di intaccare le conclusioni del giudice di merito, neanche sul piano cautelare, dove le considerazioni del marito sono, a dire della Corte, “del tutto vaghe ed ipotetiche”. Le conclusioni tratte dai giudici di merito per la Corte sono coerenti con il discorso fatto in precedenza, mentre il pericolo di reiterazione criminosa, sotteso alla sottoposizione alla misura cautelare applicata, è desunto “avuto riguardo alla specifica natura e modalità dei fatti, ripetutisi in modo abituale ed originati dal contesto familiare, oltre al rilievo che l’indagato ha mostrato di avere una personalità incapace di gestire le proprie emozioni ed impulsi negativi”.

Pertanto, nessun dubbio, per la Corte, circa la piena idoneità della misura di allontanamento. Il ricorso è stato dichiarato inammissibile e l’uomo è stato condannato al pagamento delle spese processuali.