201502.17
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LA CESSAZIONE DEL COMODATO D’USO DELLA CASA FAMILIARE IN CASO DI SEPARAZIONE DEI CONIUGI Cassazione Civile, Sezioni Unite, sentenza del 29 settembre 2014, n. 20448

Con la sentenza del 29 settembre 2014, n. 20448 la Suprema Corte, pronunciandosi a Sezioni Unite, ha composto il contrasto giurisprudenziale che si era creato in merito alla cessazione del comodato d’uso sulla casa coniugale in caso di intervenuta separazione dei coniugi, confermando il suo precedente (ma più volte contestato) orientamento del 2004 (Sezioni Unite, sentenza n. 13603/2004).  

La Corte ha spiegato che: l’intervenuta separazione dei coniugi non è di per sé fatto determinante e legittimante la revoca del comodato d’uso sulla casa coniugale, in quanto se il comodato era destinato a soddisfare le esigenze della famiglia, tale scopo permane anche dopo la separazione.

Nel caso di specie sotteso al recente pronunciamento delle Sezioni Unite, un padre aveva concesso in comodato un immobile al figlio, in occasione del matrimonio.

Anni dopo, però, il matrimonio era fallito e, in sede di separazione, l’immobile veniva assegnato alla moglie, quale affidataria del figlio minore della coppia.

Il padre decideva quindi di citare il proprio figlio e la di lui moglie, per ottenere il rilascio dell’immobile concesso in comodato.

Si costituiva in giudizio la sola moglie del figlio, opponendo di avere titolo per il godimento del bene in ragione dell’assegnazione della casa familiare ottenuta in sede di separazione.

In primo grado il tribunale respingeva la domanda, quindi il padre decideva di impugnare la sentenza. La Corte di Appello di Bari, però, rigettava il gravame, adeguandosi al precedente costituito dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 13603 del 2004.

Verso tale pronunciamento il padre ha proposto tempestivo ricorso per Cassazione, denunciando: la violazione e falsa applicazione degli artt. 1809, 1810 e 155 c.c., affermando che il comodato di immobile destinato a casa familiare ove pattuito, come nel caso di specie, “quale sistemazione temporanea provvisoria e precaria per i giovani coniugi”, senza determinazione di tempo, comporta l’obbligo del comodatario di restituire il bene non appena il comodante lo richieda; la violazione e falsa applicazione degli artt. 1803, 1809 e 1810 c.c. con riferimento agli artt. 147 e 155 c.c. e 42 Cost. in quanto la sentenza impugnata avrebbe ravvisato un contratto con determinazione implicita del termine ex art. 1809 c.c., ancorando la scadenza al raggiungimento della indipendenza economica dei figli conviventi con l’assegnataria; violazione dell’art. 345 c.p.c. in relazione all’ammissibilità, negata dalla Corte di Appello di Bari, della deduzione in appello di una situazione di bisogno di natura familiare, sopravvenuta dopo l’introduzione della causa di primo grado.

A seguito del ricorso, la Terza Sezione, auspicando un ripensamento dell’orientamento giurisprudenziale affermatosi nel 2004, ha rimesso gli atti al Primo Presidente, che ha assegnato la causa alle Sezioni Unite. Nell’ordinanza di rimessione sono stati posti una serie di quesiti: quando e come insorge il vincolo di destinazione a casa familiare, quale sia il momento di cessazione di esso, quale sia il regime di opponibilità e come sia connotata la posizione giuridica del coniuge e dei figli del comodatario iniziale.

La sentenza n. 13603/04 delle Sezioni Unite, in particolare, aveva stabilito che “nell’ipotesi di concessione in comodato da parte di un terzo di un bene immobile di sua proprietà perché sia destinato a casa familiare, il successivo provvedimento di assegnazione in favore del coniuge affidatario di figli minorenni o convivente con figli maggiorenni non autosufficienti senza loro colpa, emesso nel giudizio di separazione o di divorzio, non modifica la natura ed il contenuto del titolo di godimento sull’immobile, ma determina una concentrazione, nella persona dell’assegnatario, di detto titolo di godimento, che resta regolato dalla disciplina del comodato, con la conseguenza che il comodante è tenuto a consentire la continuazione del godimento per l’uso previsto nel contratto, salva l’ipotesi di sopravvenienza di un urgente ed impreveduto bisogno, ai sensi dell’art. 1809 c.c.”.

A tale principio si è attenuta la giurisprudenza successiva della Suprema Corte, ribadendo che la specificità della destinazione a casa familiare, impressa per effetto della concorde volontà delle parti, è incompatibile con un godimento contrassegnato dalla provvisorietà e dall’incertezza, tipiche del cosiddetto “comodato precario”, e che legittimano la cessazione ad nutum del rapporto su iniziativa del comodante, con la conseguenza che il comodante che ha concesso in godimento l’immobile a tempo indeterminato è tenuto a consentirne la continuazione anche oltre l’eventuale crisi coniugale, salva solo l’ipotesi di sopravvenienza di un urgente ed imprevisto bisogno (ex multis: Cass. 14177/12; 16769/12; 13592/11).

In senso contrario all’orientamento invalso dal 2004, si segnala la pronuncia isolata di Cassazione n. 15986/10, la quale ha affermato l’irrilevanza della destinazione a casa familiare di un immobile, con relativa configurabilità di un comodato precario soggetto a recesso ad nutum ex art. 1810 c.c.

Venendo dunque al recente pronunciamento, le Sezioni Unite, hanno confermato la soluzione adottata a suo tempo (2004), precisando che il Codice Civile disciplina due forme di comodato, quello propriamente detto, di cui agli artt. 1803 e 1809 c.c., e quello “precario” (o senza determinazione di durata), al quale si riferisce l’art. 1810 c.c.

Nel primo caso il comodato si costituisce con la consegna della cosa per un tempo determinato o per un uso che consente di stabilirne la scadenza contrattuale. Esso è caratterizzato dalla facoltà del comodante di esigere la restituzione immediata solo in caso di sopravvenienza di un urgente ed imprevisto bisogno (art. 1809 co. 2° c.c.).

Nel secondo caso, invece, non vi è la previa pattuizione di un termine, né è possibile desumere la destinazione che comodante e comodatario vogliono imprimere alla cosa; solo in questo caso al comodante sarebbe quindi possibile richiedere la cosa in ogni momento, senza particolari incombenze.

È al primo tipo di contratto che va ricondotto, secondo le Sezioni Unite, il comodato di immobile pattuito per soddisfare le esigenze abitative della famiglia del comodatario, da intendersi in tal caso “anche nelle sue potenzialità di espansione”.

Trattasi infatti di contratto sorto per un uso determinato e quindi, per un tempo determinabile per relationem, che può essere cioè individuato in considerazione della destinazione a casa familiare contrattualmente prevista, indipendentemente dall’insorgere di una crisi coniugale.

La destinazione “a casa familiare”, pertanto, per la Corte, non viene meno a seguito della separazione dei coniugi, se nell’abitazione restano la moglie ed i figli a carico.

Ciò non significa che il comodatario debba essere tutelato in ogni caso a discapito del comodante.

La Corte precisa solamente che è onere del giudice di merito indagare sugli accordi presi dalle parti al momento della stipula del contratto di comodato, per poi procedere alla qualificazione del contratto nella prima o nella seconda fattispecie sopra delineate.

Sarà invece onere delle parti provare in corso di causa l’esistenza delle circostanze di fatto idonee a ricondurre la fattispecie all’uno o all’altro tipo contrattuale.

Nel caso di specie, come emerso dal giudizio di merito, la casa era stata concessa in comodato d’uso dal padre (ricorrente) ai coniugi e risultava evidente che il fine del comodato era quello di permettere al figlio e alla di lui moglie il regolare svolgimento della vita familiare. In definitiva, quindi, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso proposto dal comodante, le cui istanze erano state già respinte in primo e in secondo grado, esponendo in seguente principio di diritto: “perché l’assegnatario possa opporre al comodante, che chieda il rilascio dell’immobile, l’esistenza di un provvedimento di assegnazione della casa familiare, è necessario che tra le parti (cioè almeno con uno de coniugi, salva la concentrazione del rapporto in capo all’assegnatario, ancorché diverso) sia stato in precedenza costituito un contratto di comodato che abbia contemplato la destinazione del bene quale casa familiare senza altri limiti o pattuizioni. In relazione a questa destinazione, se non sia stata fissata espressamente una data di scadenza, il termine è desumibile dall’uso per la quale la cosa è stata consegnata e quindi dalla destinazione della casa familiare, applicandosi in questo caso le regole che disciplinano questo istituto. In questo caso il comodante potrà chiedere la restituzione dell’immobile solo in caso di sopravvenienza di un urgente e imprevisto bisogno, da provare in sede processuale”.

Dott.ssa Francesca Baldelli