201503.10
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CONVIVENZA: L’ESTROMISSIONE VIOLENTA O CLANDESTINA DALLA CASA DI ABITAZIONE COMPIUTA DAL CONVIVENTE PROPRIETARIO IN DANNO DEL CONVIVENTE NON PROPRIETARIO, LEGITTIMA QUEST’ULTIMO ALLA TUTELA POSSESSORIA Cassazione Civile, Sez. II, sentenza del 15 settembre 2014, n. 19423

Nella vicenda sottesa al pronunciamento in questione, con ricorso la convivente chiedeva la reintegrazione nel possesso di un appartamento essendone stata privata dal nipote del suo convivente, ormai deceduto. La donna esponeva di essersi unita in matrimonio religioso, con dispensa da trascrizione, sin dal 1977, con il suo compagno, il quale l’aveva istituita usufruttuaria dell’appartamento in questione che costituiva per loro la casa ove avevano convissuto come marito e moglie. Dopo la morte dell’uomo, però, il nipote di questi, in qualità di erede del proprietario che ospitava la donna e, comunque, quale compossessore (essendo succeduto anche nel possesso), si era introdotto clandestinamente nell’ appartamento impedendo alla donna il reingresso.

In primo grado il Tribunale accoglieva la domanda della ricorrente ed ordinava al nipote di reintegrare la convivente nel possesso.

Il nipote, quindi, proponeva appello, che la Corte territoriale rigettava rilevando che la ricorrente, in quanto convivente more uxorio e quindi detentrice qualificata era legittimata ad agire mediante l’azione di spoglio; che era irrilevante la qualità di erede del nipote, il quale non era possessore quando era in vita il de cuius, ma solo ospite del nonno; che il nipote non aveva ragione di far valere la sua qualità di erede, poiché il thema decidendum del giudizio era limitato al compossesso tra le parti; che la donna non aveva abbandonato l’alloggio, ma viveva altrove in ragione del sofferto spoglio e, infine, che non era decorso l’anno dallo spoglio subito.

In seguito, il nipote è ricorso al Supremo Collegio assumendo che la convivente, in quanto tale, non sarebbe stata legittimata ad agire con l’azione possessoria nei suoi confronti, poiché egli era erede del proprietario convivente che la ospitava e, comunque, compossessore, essendo succeduto nel possesso, oltre a formulare i seguenti quesiti: se il convivente sia o no legittimato all’azione possessoria e se tale azione possa essere esercitata dal convivente nei confronti del convivente “ospitante” e nei confronti degli eredi di costui.

La Suprema Corte ha ritenuto il motivo infondato in quanto le ragioni giuridiche addotte a sostegno del motivo trovano confutazione nella giurisprudenza della stessa Corte. Ha comunque risposto ai quesiti riconoscendo “che il convivente more uxorio è legittimato all’azione possessoria e che tale azione possa essere esercitata nei confronti dell’altro convivente ospitante e nei confronti degli eredi di costui”.

Il Supremo Collegio ha anche colto l’occasione per ribadire il principio già affermato con sentenza del 21 marzo 2013, n. 7214, secondo cui: “la convivenza more uxorio, quale formazione sociale che dà vita ad un consorzio familiare, determina sulla casa di abitazione, ove si svolge e si attua il programma di vita in comune, un potere di fatto basato su di un interesse proprio del convivente diverso da quello derivante da ragioni di mera ospitalità e tale da assumere i connotati tipici di una detenzione qualificata, che ha titolo in un negozio giuridico di tipo familiare.

Pertanto, si legge ancora in sentenza, “l’estromissione violenta o clandestina dall’unità abitativa, compiuta dal convivente proprietario in danno dal convivente non proprietario, legittima quest’ultimo alla tutela possessoria, consentendogli di esperire l’azione di spoglio”.

La ratio di tale principio è evidente. La Corte ricorda infatti di aver già dato conto nel precedente richiamato, della diversità della convivenza di fatto, fondata sull’affectio delle parti, ma liberamente ed in ogni istante revocabile, rispetto al rapporto coniugale, caratterizzato, al contrario, dalla stabilità, dalla sicurezza e dalla reciprocità dei diritti e doveri nati proprio dal matrimonio. Ciò nonostante, ricorda pure di aver osservato anche che la suddetta distinzione non comporta che il rapporto del convivente con la casa destinata ad abitazione comune, ma di proprietà dell’altro, sia fondato su un titolo irrilevante giuridicamente, quale la mera ospitalità, essendo la scelta di convivere e di instaurare un consorzio di tipo familiare, nei casi in cui l’unione, seppur libera, ha assunto per durata, stabilità, esclusività e contribuzione, i caratteri di comunità familiare, basata su un negozio a contenuto personale rilevante giuridicamente.

Ne consegue che dopo la rottura del rapporto di coppia così stabilizzato, il convivente proprietario (o come nel caso di specie, l’erede del convivente defunto che subentra nell’identica posizione di proprietario e compossessore) non può ricorrere alle vie di fatto per estromettere l’altro dall’abitazione, in quanto il canone della correttezza e buona fede negoziale impone al legittimo titolare che intenda recuperare la disponibilità esclusiva dell’immobile, com’è di suo diritto, di concedere un termine congruo per individuare altra sistemazione.

Concludendo, la Suprema Corte ricorda di aver anche già riconosciuto la legittimazione alla tutela possessoria qualora lo spoglio violento e clandestino dall’abitazione sia compiuto da parte di un terzo nei confronti del convivente del detentore qualificato del bene (sentenza del 2 gennaio 2014, n. 7).

 

Dott.ssa Francesca Baldelli