201605.20
0

CONVIVENZA: LE COPPIE DI FATTO E I NUOVI CONTRATTI DI CONVIVENZA INTRODOTTI DALLA LEGGE CIRINNÀ

La Legge Cirinnà (dal nome delle sua relatrice in senato) ha introdotto nel nostro ordinamento, oltre all’istituto delle Unioni Civili tra persone dello stessa sesso, anche quello delle convivenze di fatto, la cui disciplina è contenuta nei commi dal 37 al 67 dell’art. 1.

Particolare attenzione va riservata ai contratti di convivenza.

Secondo il testo normativo (art. 1, co. 36) sono “conviventi di fatto” due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimoni o da un’unione civile.

La legge non fa distinzione tra coppie dello stesso sesso o di diverso sesso.

Pertanto, è innegabile che l’istituto introdotto riguardi tanto le coppie omosessuali, quanto quelle eterosessuali.

Elemento costitutivo della convivenza di fatto è la “stabile convivenza”, che si accerta mediante la verifica anagrafica. Nello specifico, si fa riferimento alla dichiarazione anagrafica di cui all’art 4 e alla lett. b) del comma 1 dell’art 13 del D.P.R. del 30 maggio 1989, n. 223 che definisce la famiglia per gli effetti anagrafici come un insieme di persone che, oltre ad essere legate da vincoli di matrimonio, parentela, affinità, adozione, tutela o da vincoli affettivi, coabitano ed hanno dimora abituale nello stesso comune.

Venendo ai diritti dei conviventi di fatto, sono estese loro alcune prerogative che spettano oggi ai coniugi.

In particolare si segnalano: i diritti spettanti al coniuge nei casi previsti dall’ordinamento penitenziario; il diritto, in caso di malattia o di ricovero, di assistenza, di visita reciproca e di accesso alle informazioni personali; il diritto per ciascun convivente, in caso di malattia che comporta incapacità d’intendere e di volere, di designare l’altro quale rappresentante con poteri pieni o limitati per le decisioni in materia di salute (direttive anticipate di trattamento terapeutico) e in caso di morte (disposizioni post-mortem), per quanto riguarda la donazione di organi, le modalità di trattamento del corpo e le celebrazioni funerarie; il diritto del convivente, in caso di morte dell’altro-conduttore o di suo recesso dal contratto di locazione della casa di comune abitazione, di succedergli nel contratto; il diritto, nel caso in cui l’appartenenza ad un nucleo familiare costituisca titolo o causa di preferenza nelle graduatorie per l’assegnazione di alloggi di edilizia popolare, di godere di tale titolo o causa di preferenza, a parità di condizioni; il diritto del convivente di fatto che presti stabilmente la propria opera all'interno dell'impresa dell'altro convivente di partecipare agli utili dell’impresa familiare ed ai beni acquistati con essi nonché agli incrementi dell'azienda, anche in ordine all'avviamento, commisurati al lavoro prestato.

Si segnala anche il diritto del convivente superstite, in caso di morte del proprietario della casa di comune residenza, di continuare ad abitare nella stessa, in assenza di figli, per due anni o per un periodo pari alla convivenza se questa era superiore a due anni e, comunque, non oltre i cinque anni o, qualora nella stessa coabitino figli minori o figli disabili del convivente superstite, per un periodo non inferiore a tre anni. Tale diritto del convivente superstite ad abitare nella casa familiare viene meno nel caso in cui lo stesso convivente superstite cessi di abitare stabilmente nella casa di comune residenza, contragga matrimonio, stipuli una unione civile o intraprenda una nuova convivenza di fatto.

Al convivente è stata riconosciuta anche la possibilità di essere nominato tutore, curatore o amministratore di sostegno, qualora l'altra parte sia dichiarata interdetta o inabilitata.

Infine, la nuova Legge ha previsto che in caso di decesso del convivente di fatto, derivante da fatto illecito di un terzo, nell’individuazione del danno risarcibile alla parte superstite si applichino i medesimi criteri individuati per il risarcimento del danno al coniuge superstite.

Per quanto riguarda i rapporti patrimoniali, nella Legge è previsto che i conviventi di fatto possano disciplinare i rapporti patrimoniali relativi alla loro vita in comune con la sottoscrizione di un contratto di convivenza.

Tale contratto non ha efficacia costitutiva della convivenza di fatto, essendo una facoltà dei conviventi.

Il contratto (così come anche le sue successive modificazioni e la risoluzione), a pena di nullità, deve essere redatto in forma scritta, con atto pubblico o con scrittura privata con sottoscrizione autenticata da un notaio o da un avvocato, che ne attesta la conformità alle norme imperative e all’ordine pubblico.

Ai fini dell’opponibilità ai terzi, il professionista che ha ricevuto l’atto deve anche provvedere, entro i successivi dieci giorni, a trasmetterne copia al comune di residenza dei conviventi per l’iscrizione all’anagrafe.

Per quanto riguarda il contenuto, il contratto deve necessariamente recare l’indicazione dell’indirizzo di ciascuna parte al quale effettuare le comunicazioni inerenti allo stesso.

Oltre a ciò, potrà riportare l'indicazione della residenza, delle modalità di contribuzione alle necessità della vita in comune, in relazione alle sostanze di ciascuno e alla capacità di lavoro professionale o casalingo e della scelta (eventuale) del regime patrimoniale della comunione dei beni.

Il contratto di convivenza non può essere sottoposto a termine o condizione.

È affetto da nullità insanabile, che può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse se è concluso in presenza di un vincolo matrimoniale, di un'unione civile o di un altro contratto di convivenza; se è contratto da persone vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un'unione civile o da più di due persone; se è contratto da persona minore di età o interdetta giudizialmente, nonché in caso di condanna per il delitto di cui all'articolo 88 del codice civile.

Per quanto riguarda la risoluzione del contratto di convivenza, questa può avvenire nei seguenti casi: accordo delle parti o recesso unilaterale, morte di uno dei conviventi, matrimonio o unione civile tra i conviventi stipulanti o tra uno dei conviventi ed altra persona.

In particolare, si evidenzia che per l’ipotesi di recesso unilaterale dal contratto di convivenza, il Legislatore ha recepito l’orientamento che aveva già espresso la Cassazione Civile, Sez. II, con sentenza del 21 marzo 2013, n. 7214. Pertanto, nel caso in cui a recedere unilateralmente dal contratto di convivenza sia il convivente che ha la disponibilità esclusiva della casa adibita a residenza familiare della coppia, la dichiarazione di recesso, a pena di nullità, dovrà contenere il termine, non inferiore a novanta giorni, concesso all’altro convivente per lasciare l’abitazione. In ogni caso, la dichiarazione di recesso deve essere ricevuta o autenticata da un professionista (avvocato o notaio) che è tenuto a notificarne copia all’altro contraente all’indirizzo risultante dal contratto. Mentre, per l’ipotesi di risoluzione per matrimonio o unione civile, il convivente che contrae il matrimonio o l’unione, deve notificare all’altro contraente, nonché al professionista che aveva ricevuto o autenticato il contratto di convivenza, l’estratto di matrimonio o di unione civile. Inoltre, il contraente superstite o gli eredi del contraente deceduto devono notificare al professionista che ha ricevuto o autenticato il contratto di convivenza l'estratto dell'atto di morte così che questi possa provvedere ad annotare a margine del contratto di convivenza l'avvenuta risoluzione del contratto e a notificarlo all'anagrafe del comune di residenza.

Infine, è di rilievo il fatto che il Legislatore abbia previsto che in caso di cessazione della convivenza di fatto, il giudice possa stabilire il diritto del convivente di ricevere dall'altro convivente gli alimenti qualora versi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento.

Avv. Francesca Baldelli